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MARZO 2022 AUTOMAZIONE OGGI 436 | 93 uigi Ottoboni è il tech boys di que- sto mese: Il tuo progetto pilota e le origini di tutto? Nel 2008 ero socio di un grande rivenditore CAD in Italia e mi occupavo di ricerca e sviluppo. Avevo tentato di applicare con qualche cliente il concetto del KBE (Knowledge Base Engineering) anche con discreto successo. I KBE erano già conosciuti nella forma più semplice come ‘configuratori di prodotto’, ed erano per me fa- miliari perché argomento di tesi a ingegneria meccanica negli anni ‘90. Tuttavia, dal mio punto di vista, mancava all’approccio un concetto fondamentale, quello che tutti oggi conoscono come cloud, ovvero la possibilità di lavorare con risorse illimitate e la semplicità di un browser. Nel 2008 un importante fondo italiano ha acquistato tutto il gruppo di cui facevo parte e non si è dimostrato per nulla interes- sato alle mie visioni, motivo per cui mi sono spostato in Silicon Valley in cerca di finanziatori e soci. Se da una parte 2008 e 2009 non si sono rivelati anni buoni per la ricerca di investitori, dall’altra ho fondato la società sviluppatrice dell’omo- nimo software KBMax. All’inizio è stata molto dura. Nessuno capiva cosa fosse il cloud e tutte le aziende volevano avere i loro dati e i loro software su un desktop di fronte ai loro dipendenti. Poi come tutti sap- piamo il cloud è diventato un elemento impor- tante e KBMax è letteralmente esplosa. Per vari anni siamo stati tra le 5.000 aziende americane con la crescita più veloce e siamo anche stati in- seriti nel quadrante magico di Gartner insieme a nomi come Salesforce e Oracle. Oggi la società è stata venduta a Epicor, un colosso del software americano. La tua passione per l’informatica e quella per l’ingegneria meccanica a servizio della tua vocazione professionale Ho iniziato a programmare quando avevo 8 anni con il Commodore Vic 20. Per me era una passione irrefrenabile. I miei compagni gioca- vano a pallone e io passavo le giornate con il vocabolario di inglese per tradurre i manuali di programmazione. Ai tempi non si studiava né inglese né informatica nelle scuole. Quando sono arrivato alle superiori e ho dovuto sce- gliere una specializzazione, mi dissero: fai meccanica, l’informatica non ha futuro. Tienila come hobby. La meccanica mi piaceva molto e nutrivo una forte passione per i motori e l’ela- borazione. Ai tempi tenevo le mie due passioni separate, ma poi all’università durante la tesi ho capito che potevano unirsi e ho sviluppato in C++ un configuratore capace di generare auto- maticamente pompe idrauliche. L’esperimento del primo smart working nel 2008? Nel 2009 quando siamo partiti con KBMax non siamo riusciti a trovare nessun finanziamento e abbiamo dovuto ridurre al minimo tutti i costi. Pensavo di poter andare a vivere inCalifornia, ma senza un soldo in tasca era improponibile. Così abbiamo iniziato a lavorare da remoto, con una sede virtuale e per quei tempi era molto strano, ma ci siamo abituati e senza saperlo abbiamo sviluppato uno stile di lavoro unico per allora. È stata la nostra fortuna. Ci ha infatti permesso di assumere le menti migliori residenti in cinque fusi orari diversi. Le menti più brillanti erano af- fascinate dal poter lavorare dove e quando vole- vano, senza vincoli. Così i dipendenti preferivano noi ai colossi del web, anche a discapito di uno stipendio inferiore. Questo ci ha permesso di arrivare fino a 50 KBMaxer (ci chiamiamo così) lavorando senza mai vederci in volto. Oggi come vedi le applicazione dell’automazione? In quali ambiti è più produttiva? E il futuro? Rispondo per il settore che conosco: quello della manifattura. L’automazione è un’attitudinemen- tale. Richiede un cambiamento e le persone sono resistenti al cambiamento. Richiede di riscrivere i processi e adattare il processo a logiche che prima non esistevano. È quindi un processo dolo- roso che parte prima dal management e arriva ai dipendenti. In novembre ho visto Sergio Matta- rella generare un certificato digitale. Il risparmio di tempo c’è, ma abbiamo solo ‘piegato’ l’infor- matica per generare carta. Dal mio punto di vista il certificato non dovrebbe più esistere e non si dovrebbe più obbligare il cittadino a fare da ‘vettore’. Le banche dati si dovrebbero ‘parlare’. Sarebbe un risparmio di tempo imponente, ma molte persone non avrebbero più il loro posto di lavoro. Quindi per rispondere alla seconda domanda, non esiste un ambito dove l’automa- zione sia più produttiva, esistono aziende che si adattano meglio al cambiamento. Nel futuro vedo il machine learning ma per questo, oggi, il problema più importante è la disponibilità di dati. La tecnologia c’è da anni, ma i dati non esi- stono. Vedremo un cambiamento importante, quando le aziende inizieranno a raccogliere i dati. Il lavoro che ti ha appassionato di più? Mi sto appassionando al machine learning, im- propriamente conosciuto come intelligenza ar- tificiale. E penso appunto che la sfida più grossa sia trovare i dati. Tutti pensano di averli, ma quando si arriva al dunque nessuno li ha vera- mente o se ci sono, sono di pessima qualità. Mi è capitata un’azienda che voleva usare il ML per scegliere il macchinario più adatto alla richiesta dei clienti. Abbiamo raccolto tutti i dati dei tec- nici degli anni precedenti, e ci siamo accorti che il tecnico sceglie più o meno sempre la stessa macchina per abitudine, non perché sia la scelta migliore per il cliente o l’azienda. Per hobby rac- colgo dati sanitari con l’aiuto di associazioni di volontariato e di medici, ma qui l’ostacolo è il Gdpr e i comitati etici. In USA va molto meglio perché ci sono meno restrizioni e quindi anche per il mio hobby sono costretto a saltare dall’al- tra parte dell’Atlantico. Il mio obiettivo è quello di introdurre il ML nel campo medico: leggendo i giornali sembra che sia già così, ma nella realtà siamo ancora molto distanti. L Lucilla La Puma AUTOMAZIONE OGGI TECH BOYS AND GIRLS

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